Venti tipici delle zone montuose

Palare di meteorologia significa esaminare, in un sito come questo, alcuni venti caratteristici delle catene montuose cercando di capire in che modo l’orografia influisce sulla loro comparsa e presenza. Esaminiamo le cosiddette “brezze di valle-pendio, monte e ghiacciaio” e il “fohen – stau”.

1- Le brezze di valle, di pendio e di monte

Associate alla presenza di una catena montuosa e di un solco vallivo sono le brezze di valle e di monte. Al pari delle più famose brezze che interessano i litorali marini, la loro previsione e presenza devono essere considerate di buon auspicio in quanto si verificano solo in presenza di tempo molto stabile e caldo. Sono quindi correnti che caratterizzano per lo più le limpide giornate estive in quanto la loro comparsa dipende strettamente (ma non solo) dalla presenza del sole.

Esaminiamo, in modo semplificato, come si verificano.

Già a partire della mattinata il fondo valle comincia a riscaldarsi con l’arrivo del sole e l’aria a contatto con il terreno può così espandersi. Mentre la dilatazione dell’aria non ha alcun ostacolo nelle aree pianeggianti risulta invece frenata all’interno delle vallate per la presenza dei versanti montuosi: l’aria si espanderà quindi risalendo i pendii laterali. Si avrà quindi una differenza di pressione con valori più elevati nel fondo della vallata: la conseguenza sarà uno spostamento di masse d’aria dal fondovalle verso la testata a generare la cosiddetta “brezza di valle”. A questo spostamento d’aria si sommano le cosiddette “brezze di pendio” determinate dal fatto che le cime e le creste in quota ricevono i raggi solari prima del fondo valle. L’aria sulle cime inizierà quindi prima il suo riscaldamento e la sua espansione andando a richiamare ulteriore aria dal fondo della vallata. Naturalmente le brezze di pendio raggiungono il loro massimo nelle prime ore pomeridiane e nonostante la loro intensità sia contenuta provocano spesso la condensazione dell’umidità in ascesa dal fondo valle. Il risultato sarà la formazione di quei banchi di nebbia che si formano sui pendii montuosi nelle mattinate e la condensazione di modeste nubi cumuliformi che caratterizzano i pomeriggi estivi facendo da “cappello” a cime e creste.

Il meccanismo delle brezze di valle è mantenuto fintanto che il sole non cala: soltanto allora il verso delle correnti si inverte; infatti cessando il riscaldamento solare, l’aria a contatto con i pendii montuosi si raffredda rapidamente. Divenendo più fredda e quindi più pesante l’aria tende a scendere verso il fondovalle alimentando il deflusso delle correnti dalla testata verso il fondovalle: si instaurano così le “brezze di monte” che raggiungono il loro apice poco prima dell’alba quando il raffreddamento notturno è massimo.

Per sintetizzare, brezze di valle e di pendio sono venti anabatici, ovvero ascendenti, la brezza di monte è invece un vento catabatico cioè con spostamento discendente delle correnti.

2- La brezza di ghiacciaio

Un capitolo a parte meritano le cosiddette brezze di ghiacciaio la cui intensità dipende ovviamente dall’estensione del ghiacciaio stesso. Chiunque abbia camminato in una stabile giornata estiva sulla superficie di una vedretta conosce questo vento localizzato la cui origine è facilmente intuibile: la superficie del ghiacciaio si presenta infatti ben più fredda del suolo circostante. La conseguenza sarà un raffreddamento dell’aria sovrastante la vedretta che scivolerà verso valle determinando la “brezza di ghiacciaio” la cui intensità sarà più forte nel punto di massima pendenza della superficie gelata. Anche le brezze di ghiacciaio sono quindi un vento catabatico (discendente).

3- Föhn e stau

Per comprendere chiaramente cosa sia lo stau e il föhn sono necessarie alcune premesse. Un primo concetto che andiamo a chiarire è il significato del cosiddetto “gradiente termico verticale. Innanzi tutto occorre sottolineare che l’irraggiamento solare raggiunge il terreno e viene assorbito da esso. Il fenomeno della convezione e della conduzione porta l’aria a contatto con il terreno a scaldarsi di conseguenza. Questo spiega il raffreddamento che l’aria presenta salendo di quota nella libera atmosfera. Naturalmente l’entità del raffreddamento dipende da parecchi fattori, possiamo comunque, per la nostra latitudine, considerare valido un raffreddamento di circa 6°C ogni 1000 metri fino ad un altitudine di 11000 – 12000 metri: questo valore costituisce il “gradiente termico verticale” ed è un valore valido in assenza di correnti. Per fare un semplice esempio, se al livello del mare abbiamo una temperatura di 26°C, possiamo stimare che a 1000 metri vi saranno 20°C, a 2000 metri 14°C e così via.

Il più delle volte l’aria non è tuttavia in stato di quiete. La stessa aria calda presente al livello del suolo, essendo più leggera della fredda tende a salire creando delle colonne d’aria ascendenti. Mentre una massa d’aria sale d’altitudine, si troverà progressivamente ad una pressione atmosferica inferiore in quanto diminuisce lo strato d’aria sovrastante. La conseguenza di questo è un’espansione dell’aria detta espansione adiabatica che porta ad un progressivo consistente raffreddamento della massa stessa. E’ molto importante osservare che il raffreddamento per espansione adiabatica è più marcato del raffreddamento che si ha in condizioni di calma. Il gradiente termico conseguente sarà quindi non più di 6°C ma di 10°C ogni 1000 metri.

Se la massa d’aria salendo di quota raggiunge la temperatura di rugiada (dew point) si avrà la condensazione dell’umidità in essa contenuta con la formazione di goccioline e quindi di nubi. E’ interessante che il passaggio di stato dell’acqua contenuta nell’aria, dallo stato gassoso a quello liquido o da quello liquido a quello solido, porta a liberare una certa quantità di calore che si disperderà nell’aria circostante: è il cosiddetto “calore latente” o “nascosto”, in grado di inibire parzialmente il raffreddamento dovuto all’espansione adiabatica. In queste condizioni il gradiente termico verticale risulterà quindi ridotto da 10°C a 5-6°C ogni 1000 metri. Si tratta quindi del rilascio di una quantità di calore non trascurabile; a titolo di curiosità, occorre infatti osservare che il passaggio di stato da quello gassoso alle goccioline che compongono una nube di 1 kg di vapore acqueo libera qualcosa come 200.000.000 di joule di calore nell’atmosfera circostante. Questo fenomeno costituisce il carburante delle calde correnti ascensionali che caratterizzano all’interno le nubi di tipo temporalesco (cumulonembi).

N.B Il fenomeno del “calore latente” è del tutto reversibile; ad esempio quando si ha la fusione del ghiaccio, dev’essere assorbita la stessa quantità di calore che era stata prodotta per formare il ghiaccio stesso. Questo spiega perché occorre una grande quantità di calore per disperdere, una volta formate, un gruppo di nuvole, calore che il più delle volte viene fornito direttamente dal sole.

Un’ultima logica conseguenza legata al concetto di “calore latente” e “raffreddamento per espansione adiabatica” è che in presenza di forte vento che impatta contro una catena montuosa, ma in assenza di condensazione di nubi (può infatti accadere che l’aria sia molto secca) si avrà, salendo di quota, un calo imponente delle temperature. Ad esempio, se in questa situazione abbiamo a 1000 metri circa 10°C, sarà raggiunto lo 0° a 2000 metri mentre a 3000 metri avremo già valori prossimi a  –10°C. L’escursionista o alpinista deve quindi prestare molta attenzione con vento sostenuto che sale lungo i pendii e atmosfera molto secca: in queste condizioni l’abbigliamento dev’essere adatto se si pensa di salire in quota. A questo deve aggiungersi l’effetto del cosiddetto wind chill, cioè la temperatura che il corpo percepisce in presenza di vento e che può raggiungere valori critici per lo sprovveduto che non si è attrezzato con abbastanza indumenti. Assimilati questi importanti concetti diviene ora più facile comprendere il significato e gli effetti provocati dal föhn e dallo stau. Quando una massa d’aria si muove perpendicolarmente ad una catena montuosa è costretta, impattando sui rilievi, a sollevarsi forzatamente verso l’alto. L’aria salendo sarà costretta a raffreddarsi con un gradiente termico verticale, come abbiamo visto, pari a circa una decina di gradi ogni 1000 metri. Questo avverrà sino alla quota in cui si avrà la forzata condensazione dell’umidità presente. Diciamo che la condensazione è forzata in quanto l’aria è obbligata a salire a causa dell’orografia della montagna (effetto stau). La presenza di una catena montuosa è quindi un fattore fondamentale indispensabile perché si verifichino stau e föhn.

Raggiunta l’altitudine in cui si verifica la condensazione, la massa d’aria proseguirà la sua salita lungo il pendio raffreddandosi con un gradiente termico verticale inferiore a causa del calore latente di condensazione (6°C ogni 1000 metri). Si avranno precipitazioni piovose o nevose sempre più intense ed abbondanti sino a raggiungere il crinale montuoso. Raggiunto questo culmine l’aria non è più obbligata a salire ulteriormente di quota e quindi proseguirà la sua corsa scendendo sull’altro versante ormai privata del suo contenuto originario d’umidità. Nel corso della sua discesa si scalderà (effetto föhn), con un processo opposto a quello che ha originato lo stau nel versante sopravvento. Grazie a questo fenomeno di compressione adiabatica (cioè con una massa d’aria che si riscalda senza avere scambi d’energia con l’ambiente circostante) e grazie all’assenza totale di umidità nella massa d’aria, il gradiente termico sarà di 10° ogni 1000 metri per cui l’aria giungerà a valle con parecchi gradi in più rispetto alla partenza. Se la catena montuosa è sufficientemente elevata l’aria risulterà inoltre d’eccezionale limpidezza in quanto priva di umidità sin dal crinale. Il riscaldamento conseguente alla discesa della massa d’aria rende infatti l’umidità relativa già bassa ancora inferiore con atmosfera estremamente secca e cielo sereno e molto limpido (non dimentichiamoci infatti che una massa d’aria calda contiene più umidità di un eguale volume d’aria più fredda).

Facciamo un esempio pratico con alcuni valori di temperatura per capire il fenomeno:

Immaginiamo una massa d’aria alla base di una catena montuosa alta 3000 metri. La temperatura nel fondo valle, ad una quota vicina a quella del livello del mare, è di 18°. La corrente (perpendicolare alla catena montuosa) comincia a risalire i pendii con un gradiente di 10° ogni 1000 metri (adiabatica secca) sino a raggiungere la quota di condensazione intorno a 1000 metri con una temperatura quindi di 8°. Si manifesta allora l’effetto stau: l’ascesa della massa d’aria prosegue e nel contempo si ha la continua condensazione dell’umidità con formazione di nubi e precipitazioni che vanno intensificandosi con la quota. Il gradiente termico si riduce a 6° ogni 1000 metri per il calore latente di condensazione (adiabatica satura), avremo quindi una temperatura di 2° a 2000 metri e di –4° a 3000 metri con la pioggia che si è ormai trasformata in neve. Superato il crinale, l’aria oramai priva della sua umidità originaria precipita sul versante opposto riscaldandosi per compressione adiabatica di 10° ogni 1000 metri. Passeremo dai –4°C a 3000 metri a 6°C a 2000 metri. Avremo quindi 16°C a 1000 metri e addirittura 26° nella pianura sottostante ad una quota prossima al livello del mare con cielo limpido e visibilità eccezionale.

Quando si verifica l’effetto stau-föhn in Italia:

In effetti ogni catena montuosa può determinare l’effetto stau-föhn ma gli effetti saranno naturalmente tanto più marcati quanto più elevata è la catena montuosa stessa.

Un caso classico si ha con aria fredda proveniente da nordovest che giunge sulle Alpi Occidentali con marcato effetto stau sul versante francese e föhn sostenuto sul versante italiano (Pianura piemontese, lombarda e fondo valle della Val d’Aosta). In questi casi il föhn può raggiungere la Pianura Padana con raffiche superiori a 100 km/h e con temperature sul versante italiano molto superiori al normale; questo poiché le Alpi Occidentali costituiscono una muraglia davvero molto alta (anche oltre 3500 – 4000 metri) e il surriscaldamento dovuto al föhn diviene così molto marcato: non è un caso se il föhn porta in primavera ad un rapido disgelo alle basse e medie quote. Il föhn interessa spesso anche le Alpi Orientali, ad esempio il Trentino Alto Adige quando le correnti si dispongono perpendicolarmente alla catena montuosa. Poiché il crinale altoatesino è disposto approssimativamente da ovest verso est, si avrà l’effetto stau-föhn con correnti da nord o da sud. Quando le correnti sono settentrionali si avrà stau nel versante austriaco, spesso con nevicate sino in pianura quando si verifica nella stagione fredda, e föhn in quello italiano con il fondo valle dell’Alto Adige più caldo del normale. E’ quindi interessante osservare che una corrente di origine artica e quindi proveniente da nord nonostante sia estremamente fredda non porta necessariamente, sul versante italiano, ad un calo della temperatura.  Anche le correnti da sud sono però perpendicolari a questo settore della catena alpina: in questo caso lo stau e le precipitazioni interesseranno il Trentino Alto Adige mentre il föhn, con atmosfera calda e secca, andrà ad interessare il versante del nord Tirolo (Austria). Questa nozione di meteorologia può avere interessanti risvolti per l’escursionista o l’alpinista che opera a non troppa distanza dal crinale.

Ad esempio, il trekker che opera in Alto Adige e incontra un periodo di maltempo con calde correnti meridionali (scirocco o libeccio) può trovare condizioni propizie all’escursionismo semplicemente cambiando versante e andando a camminare in Austria, subito oltre confine. Attenzione però, (questa è una necessaria precisazione valida in tutti i casi in cui si ha stau e föhn), in quanto il crinale della catena montuosa non è un limite precisissimo tra stau e föhn. In generale l’effetto stau (con nubi e precipitazioni) tende ad estendersi per qualche km al versante interessato dal föhn. Questo significa che per poter godere degli effetti benefici del föhn (cielo sereno, atmosfera limpida e secca) occorre scostarsi a sufficienza dal crinale. Naturalmente la nuvolosità e le eventuali precipitazioni dovute allo stau sconfineranno nel versante sottovento in maniera proporzionale all’intensità del vento stesso. Stau e föhn interessano spesso anche l’Appennino nei sui diversi settori. Gli effetti saranno naturalmente meno intensi rispetto allo stau-föhn determinato dalle Alpi in quanto la catena appenninica non è altrettanto elevata, tuttavia gli effetti risultano comunque abbastanza marcati da costringere i meteorologi a tenerne conto nella stesura delle previsioni del tempo.

Ad esempio i freddi venti di bora determinano spesso nubi con piogge o nevicate da stau sul versante emiliano dell’Appennino settentrionale mentre l’atmosfera appare serena sul versante toscano. Viceversa, correnti umide sudoccidentali determinano marcate fasi di maltempo sul versante toscano con atmosfera secca e calda sull’Emilia Romagna centrale e orientale (il cosiddetto “föhn appenninico” o “garbino” come viene denominato il Föhn in Romagna e nelle Marche). Si dice allora che l’Emilia Romagna si trova in ombra pluviometrica in quanto le precipitazioni restano confinate nel versante sopravvento (Toscana – Liguria orientale) sebbene la situazione meteorologica possa essere comunque depressionaria anche sul versante emiliano. Altre importanti situazioni da stau e föhn si verificano sull’Italia Centrale, in occasioni di forti ondate di gelo (bora o addirittura burian da est con intense nevicate da stau in Abruzzo) oppure quando le umide correnti atlantiche occidentali determinano maltempo su Lazio e Campania mentre il föhn porta un intenso riscaldamento sul versante Adriatico.

Stau e temporali orografici

Occorre osservare che il fenomeno dello stau è molto importante in montagna nella formazione dei cosiddetti “temporali orografici”. Anche in condizioni di tempo stabile infatti, come abbiamo già esaminato in precedenza parlando delle brezze di valle e di pendio, si ha nelle ore diurne uno spostamento d’aria dal fondo valle verso la cima delle montagne. Anche nei giorni più stabili questo fenomeno, simile per altro alle brezze costiere, porta alla formazione sui rilievi di nubi cumuliformi che spesso ammantano le cime nel pomeriggio. Quanto più umida sarà la massa d’aria in salita tanto più consistenti saranno le nubi che si origineranno. Tuttavia questo non è sempre sufficiente alla formazione dei temporali specie se la pressione è alta e stabile. Basta tuttavia davvero poco per turbare le precarie condizioni di stabilità che caratterizzano i rilievi, specie quelli alpini nei mesi più caldi. Nel caso delle Alpi basta un lieve calo della pressione atmosferica con un afflusso anche debole di correnti dai quadranti meridionali perché si accentui in modo deciso la risalita delle correnti lungo i pendii. Si avrà un conseguente effetto stau con il raggiungimento ad una certa quota della temperatura di condensazione e la formazione in estate di celle temporalesche dette orografiche che in effetti devono la loro comparsa all’espansione adiabatica associata allo stau. Le precipitazioni potranno essere anche di forte intensità ma sebbene le celle temporalesche possano estendersi nel lato sopravvento addirittura sino alla pianura non andranno però ad influenzare il versante sottovento che sarà protetto dall’effetto föhn.

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