Cimone - Cimoncino - La Piazza - Lagoni

CIMONE (m 2165)

CIMONCINO (m 2118)

LA PIAZZA (m 1872)

LAGONI (m 1963)

Non potevamo non inserire la via di salita alla massima vetta dell’Appennino Tosco Emiliano, il Monte Cimone che, come noto, non è posto lungo la linea di displuviale. La grande piramide che lo caratterizza si trova invece isolata in territorio emiliano, e la sua inconfondibile sagoma può essere osservata a grandissima distanza. Abbiamo avuto modo, in giornate estremamente limpide, di riconoscerne il profilo addirittura dai rilievi prealpini lombardi e veneti (zona del Lago di Garda) così come, la sua forma possente e amica, caratterizza l’orizzonte meridionale osservabile dalla Pianura Padana percorrendo l’autostrada del Sole tra Parma e Bologna oppure l’autostrada del Brennero tra Verona e Modena. Si tratta in effetti di una cima che spicca in modo marcato sulle altre del gruppo; nell’ambito del modenese è, assieme all’anticima denominata Cimoncino, l’unica elevazione a varcare i 2000 metri. Si tratta di un punto panoramico straordinario: la vetta del Cimone rappresenta la posizione della penisola dalla quale è possibile osservare la massima estensione territoriale italiana. Dal suo culmine, in condizioni di limpidezza eccezionale, sono visibili 4/10 del territorio nazionale. A termine della descrizione trovate ulteriori dati relativi all’orizzonte osservabile dalla vetta. Purtroppo è però necessario segnalare lo scempio che disgraziatamente è stato perpetrato sul punto più alto della montagna: oltre ad un osservatorio meteorologico sono presenti altre vecchie costruzioni militari che deturpano moltissimo l’ambiente rovinando non poco la salita. Fortunatamente basta procedere oltre la sommità, in direzione di Monte Lagoni, per ritrovare quell’ambiente naturale e selvaggio che senza dubbio preferiamo: per questa ragione trovate descritto, oltre alla via normale, il proseguo sul crinale appena citato. Inutile sottolineare la necessità d’evitare il periodo novembre – aprile per il forte innevamento che in certi anni può prolungarsi anche in maggio e, con singoli nevai, fino alla parte iniziale dell’estate. Le fotografie allegate sono state realizzate proprio in maggio con la neve a rendere ancora più affascinante il paesaggio. Un’ultima nota è relativa ai venti con la stazione del Cimone che registra i più violenti dell’intera penisola (incredibilmente ne sono stati registrati con velocità superiori ai 200 km/h: più di molti uragani!). Questa estrema instabilità è legata alla posizione del Cimone, a cavallo tra le calde correnti mediterranee provenienti da sud e le fredde correnti continentali che arrivano da settentrione; il Cimone è quindi posto sul confine tra due aree climatiche estremamente differenti per questo occorre prestare attenzione nel scegliere, per la sua ascensione, giornate dal clima prevedibilmente stabile e anticiclonico.

Dati tecnici:

Dal Lago della Ninfa (m 1503): Difficoltà: E (Vai alla scala delle difficoltà). Segnaletica: totale. Dislivello assoluto: m 662; il dislivello realmente coperto è senz’altro superiore ai 1000 metri in quanto la frazione di crinale compresa tra la vetta del Cimone e il Monte Lagoni presenta numerosi saliscendi. Acqua sul percorso: abbondante fonte (Fontana Bedini) dopo mezz’ora di cammino.

Accesso alla partenza:

Si sale da Sestola, su strada asfaltata, transitando per il paese di Pian del Falco e procedendo in direzione degli impianti sciistici di Passo del Lupo. Lungo il tracciato possiamo già ammirare un vasto panorama d’alta montagna con, in bella vista, l’immensa piramide del Cimone. A meno di un km dal passo troviamo il bivio a sinistra che conduce in breve al Lago della Ninfa (m 1503), punto molto adatto nella stagione estiva ai pic-nic grazie ai bei prati presenti attorno allo specchio d’acqua. Il tratto transitabile in automobile prosegue per poche decine di metri oltre il laghetto sino alla sbarra che impedisce l’ulteriore transito (numerose possibilità di parcheggio presso la sbarra oppure nei pressi del lago).

Descrizione dell’itinerario:

Proseguiamo a piedi oltre la sbarra che chiude il traffico: si tratta di una strada militare asfaltata che spesso permette la salita anche in inverno quando i sentieri sono coperti di neve. Il primo tratto si sviluppa nell’ombroso bosco di conifere per poi uscire all’aperto tagliando un pendio a pascoli e mughi. Poco oltre siamo all’abbondante Fontana Bedini (m 1632), ottimo punto per rifornirsi d’acqua. Alcuni tornanti permettono di guadagnare quota con la vista che si apre a oriente sulla lunga dorsale dei Monti della Riva e, di poco più lontano, sul Corno alle Scale. Davanti a noi abbiamo in primo piano la sagoma ormai molto vicina del Cimone con, in vetta, l’osservatorio dell’Aeronautica militare. Passiamo a sinistra di una piccolo avvallamento in parte invaso dall’acqua al disgelo per poi procedere nella salita con la possibilità di tagliare liberamente qualche tornante della strada passando per facili prati. Al di sopra raggiungiamo infine il grande altopiano di Piancavallaro (ore 1,30 dalla partenza), un’immensa distesa prativa dalla quale, come in un gigantesco terrazzo, osserviamo verso occidente il proseguo del crinale verso l’Appennino reggiano e, di poco più a sud, le Alpi Apuane. Ci troviamo in un’ampia distesa che, al momento dello scioglimento delle nevi, presenta pozze d’acqua e laghetti temporanei nei quali si specchia il soprastante Cimone.

Da notare la presenza del Rifugio Bar Ristorante Pian Cavallaro (m 1871) aperto purtroppo solo nella stagione sciistica e pertanto completamente chiuso nel periodo estivo. La strada asfaltata ha termine proprio presso l’edificio: passiamo ora sul segnavia n° 441 che risale la facile cresta settentrionale del Cimone. Ci innalziamo immediatamente sul Pian Cavallaro seguendo i facili pendii prativi del settore inferiore. La salita risulta facilitata, nel proseguo, dal sentiero visibilmente artefatto essendo sostenuto da tronchi di legno; bello il colpo d’occhio a sinistra sull’anticima del Cimoncino con, in lontananza, il Corno alle Scale. Senza alcuna difficoltà siamo in breve al culmine della nostra escursione in vetta al Cimone (m 2165 – ore 0,45 da Pian Cavallaro – ore 2,15 complessive). Come detto nell’introduzione chiudete gli occhi di fronte alle orrende costruzioni che deturpano il punto più elevato dell’Appennino Settentrionale. Sebbene l’osservatorio meteorologico sia necessario, non mancano i resti delle strutture militari che funzionarono come osservatorio al tempo della guerra fredda: da allora nessuno ha pensato di riportare il Cimone allo stato naturale; in compenso il panorama è di incredibile ampiezza esteso dalle Alpi alla Corsica, dal Mar Tirreno all’Adriatico. Anche le montagne dell’immediato circondario si rivelano nei loro particolari e appaiono da questa quota appiattite nelle loro forme; verso occidente spicca Monte Gomito con le piste da sci che calano sino all’Abetone; appena più a destra notiamo Monte Giovo mentre cambiando direzione e volgendo lo sguardo a oriente osserviamo il proseguo del crinale in direzione del bolognese con le sommità del Cornaccio e del Corno alle Scale. Verso meridione notiamo il lungo crinale che dal Cimone conduce sino al Libro Aperto: il proseguo dell’escursione si sviluppa per lo più lungo il filo di questa bellissima cresta in ambiente finalmente selvaggio, non alterato dall’intervento dell’uomo. Si tratta di un itinerario segnato (segnavia n° 447), senza difficoltà, che permette in effetti la percorrenza del crinale più alto e panoramico dell’intero circondario. Muoviamo i primi passi in direzione della selletta che divide il Cimone dal Cimoncino; quest’ultima cima può essere facilmente raggiunta con una breve digressione dal sentiero ufficiale salendo proprio dalla selletta divisoria. In breve siamo sulla vetta della terza più alta sommità dell’Appennino Settentrionale (m 2118 – ore 0,15 dal Cimone).

Rientrati a ritroso sul sentiero segnato cominciamo a perdere quota lungo le pendici sudoccidentali del Cimoncino: in questa frazione è molto facile, anche ad inizio stagione, osservare le marmotte che si “spanciano” al sole dopo il lungo letargo invernale. La marmotta fu introdotta sul Cimone, così come in altre zone dell’Appennino Settentrionale, negli anni 50 e da allora si è ambientata perfettamente al clima e alle condizioni della zona riproducendosi in gran numero al punto che non è affatto difficile osservarne parecchi esemplari da pochi metri di distanza. Il sentiero asseconda le pendici del Cimoncino mantenendosi sotto crinale e volgendo progressivamente verso sud a tagliare in progressiva discesa il fianco della montagna. Questa frazione è l’unica che, in presenza di nevai residui, può dare qualche problema. Nel nostro caso abbiamo percorso il sentiero ad inizio maggio e in un paio di punti abbiamo dovuto aggirare liberamente, sul pendio soprastante, due grossi accumuli di neve ghiacciata in sensibile pendenza. Naturalmente non vi è alcuna traccia d’essi nella stagione estiva quando il sentiero altro non è che un’innocua traccia alla portata di chiunque. Il proseguo verso sud ci riporta infine sull’ampio crinale che non lasceremo più per l’intero sviluppo dell’escursione e anzi, possiamo già osservarne chiaramente l’intero sviluppo con la sottostante sella e la successiva risalita in direzione del Monte Lagoni e del Monte Libro Aperto. Caliamo di quota in moderata discesa e in questo tratto è facile, a cavallo tra aprile e maggio in presenza ancora di consistenti nevai, osservare tra le rocce i pulvini della Draba aizoides L., inconfondibile per i suoi meravigliosi fiori gialli. Il panorama alle spalle permette di apprezzare la quota persa dalla vetta del Cimoncino. Il sentiero passa a destra del caratteristico rilievo del Monte La Piazza (m 1872), poco appariscente in quanto è un tozzo cupolone ampio e appiattito sulla sua larga sommità. Il raggiungimento della sua modesta e poco evidente cima richiede, per chi lo desidera, una breve digressione di qualche minuto lasciando il sentiero segnato e volgendo a sinistra fino alla vetta. 

Il segnavia guida invece, ancora in discesa, sino al punto più basso di questo crinale (m 1817) per poi risalire dolcemente l’ampia cresta su fondo che per un breve tratto è caratterizzato da sabbie quasi nere. Subito oltre i detriti lasciano nuovamente spazio a un fondo per lo più prativo e siamo ora sovrastati dalla sagoma del Monte Lagoni con, alla sua destra, un’anticima di poco più bassa; alla sua sinistra notiamo invece, più in lontananza, la più alta delle due “pagine” del Monte Libro Aperto. Ancora più a oriente osserviamo un bel paesaggio esteso sino alle sagome del Corno alle Scale e del Monte La Nuda, mentre alle spalle spicca, in bell’evidenza, la sommità ormai distante del Cimone. Il tratturo scavato nell’erba si porta ora alla base di un filone roccioso affiorante con il pendio che si impenna con decisione. Evitando di lasciarsi fuorviare dalla traccia che traversa quasi in piano sulla destra, si segue proprio la ripida salita sulle roccette del filo di cresta portandosi al soprastante terrazzino. Appare ora evidente che la sommità del monte Lagoni è leggermente sposata a destra rispetto al nostro crinale. Per raggiungerne la splendida calotta terminale manteniamo per un breve tratto l’ampia dorsale di cresta qui caratterizzata da scarsi dislivelli e dall’affioramento di facili roccette; subito oltre abbandoniamo la cresta e in pochi istanti rimontiamo la cupola che caratterizza la sommità del Lagoni sino al punto più alto (m 1963 – ore 1,30 dal Cimone – ore 4 complessive). Il panorama dalla vetta è avvincente: oltre naturalmente al Cimone posto a nord notiamo, a occidente, il comprensorio dell’Abetone con le vette di monte Gomito e dell’Alpe delle Tre Potenze. Verso sud prosegue la nostra cresta raggiungendo la cima del Libro Aperto e andando a raccordarsi con la linea di displuviale tosco emiliana. Osserviamo infatti il crinale appenninico svilupparsi verso est passando per Cima Tauffi e proseguendo sino al Corno alle Scale. Chi lo desidera può naturalmente proseguire sino a Libro Aperto cosa che non è stata possibile nel nostro caso per via dell’innevamento troppo consistente nella frazione successiva. Nel nostro caso il rientro è avvenuto a ritroso riportandoci lungo la cresta sino al Cimone per poi rientrare al Lago della Ninfa (circa 7 ore complessive).

L’orizzonte del Cimone:

Abbiamo accennato nell’introduzione all’incredibile vastità del panorama che si può osservare dalla sommità del Cimone. Dal punto più alto si osservano 4/10 dell’estensione territoriale italiana, con un panorama che spazia dalle Alpi al mare. Entrando nello specifico, nei giorni limpidi si può osservare, verso suovest, l’Isola d’Elba con il Monte Capanne nonché l’isola di Montecristo e le isole Gorgona e Capraia. L’orizzonte sudorientale è poi chiuso, al di là del Tirreno, dalle cime della Corsica tra le quali spicca ovviamente il monte Cinto (m 2710), massima elevazione dell’isola; il punto più meridionale osservabile è dato però dal monte Quercitella posto nella parte più a sud della Corsica a pochi km in linea d’aria dalla Sardegna!

Passando all’orizzonte occidentale questo è parzialmente occultato dallo sviluppo dell’Appennino Settentrionale con i monti Giovo, Prado e Cusna e le Alpi Apuane (Pania della Croce, Altissimo, Tambura, Pisanino) ad impedire una vista estesa; è tuttavia sufficiente spostarsi con lo sguardo appena più a destra di queste cime per ritrovare orizzonti e cime molto lontane. Quando splende la chiarìa l’orizzonte è infatti delimitato dalle Alpi Marittime al confine tra il Piemonte e la Francia; da rilevare la visione del Monviso (oltre 3800 m) famoso per le sorgenti del Po. Volgendo a nordovest l’occhio si sposta in Valle d’Aosta e raggiunge vette che varcano i 4000 metri tra cui il Gran Combin, il Cervino e il Rosa (m 4633 – massima cima visibile dal Cimone) quindi, volgendo ulteriormente a destra, sconfiniamo addirittura in Svizzera con la visione di molte cime del Canton Ticino sino ad esempio all’Aletschhorn. L’orizzonte prosegue verso settentrione con il Bernina (m 4052) e le vette delle Alpi Orobiche. Volgiamo ancora più a destra passando in territorio trentino con le Dolomiti di Brenta (Cima Tosa – m 3152) e il Bondone (Monte Cornetto). Le Dolomiti impediscono la vista delle vette dell’Alto Adige con la massima sommità del gruppo, la Marmolada (m 3342) osservabile distintamente. A nordest l’occhio si sofferma sulle vette del Friuli tra le quali ricordiamo lo Jof di Montasio e il Mangart; la particolare posizione del Cimone permette di arrivare a scorgere la massima elevazione della Slovenia: il Triglav (Tricorno). Volgendo ancora più a destra arriviamo infine ai confini orientali dell’orizzonte visibile: al di là del Mar Adriatico si notano le cime dell’Istria, in territorio un tempo italiano, oggi croato. Si nota, come ultima cima a destra, il monte Maggiore massima elevazione istriana, mentre appena più a sinistra si raggiunge l’estremo limite orientale dell’orizzonte con il Monte Nevoso, un tempo attraversato dal confine di stato italiano. Tutto il lato sudorientale dell’orizzonte non mostra cime essendovi il “corridoio” occupato dal Mar Adriatico. Ritroviamo infine, volgendo ancora più a destra, diverse cime questa volta dell’Appennino Tosco Romagnolo con San Marino, il Falterona e il Carpegna. Ancora una volta, la particolare angolazione, concede sconfinamenti in territorio marchigiano con i monti Catria e Cucco e, addirittura, fino ai Sibillini con il monte Priora. Il punto più distante osservabile a meridione è dato però dal Terminillo in Lazio quindi notiamo diverse elevazioni toscane la più alta delle quali è l’Amiata. Ritorniamo infine al Mar Tirreno con l’arcipelago toscano a termine del nostro “giro” d’orizzonte. Tra le città visibili ricordiamo Ferrara, Ravenna, Forlì, Bologna, Modena, Reggio e Parma in Emilia Romagna; Milano, Bergamo, Brescia, Mantova e Cremona in Lombardia; Verona, Rovigo, Treviso e Venezia in Veneto e infine Firenze e Siena in Toscana. Contrariamente a quanto si legge in alcune pubblicazioni non è visibile Roma in quanto occultata dalle cime della Toscana meridionale. L’ultima necessaria precisazione è relativa al fatto che abbiamo descritto un orizzonte osservabile solo teoricamente: in realtà è piuttosto difficile che l’orizzonte si presenti completamente sgombero in tutte le direzioni. La presenza di foschie o nebbie in certe direzioni possono occultare almeno in parte l’immenso panorama di vetta. Occorre comunque sottolineare che le giornate più limpide si hanno senz’altro d’inverno quando soffiano forti correnti settentrionali o nordorientali a ripulire l’aria dall’umidità e dalle impurità. In altri casi è il fohen a rendere l’atmosfera molto secca e limpida; in queste situazioni non è così raro arrivare a scorgere le Alpi e il Mar Tirreno.

Cenni sulla flora:

Abbiamo già accennato nella descrizione alla presenza, lungo il crinale che unisce il Cimoncino al monte La Piazza, dei pulvini caratterizzati da splendidi fiori gialli della Draba gialla (Draba aizoides L.). Si tratta di una pianta molto precoce (fine aprile – inizio maggio) che rallegra la cresta prima indicata quando la neve è ancora presente nelle zone riparate. Lungo la salita a Pian Cavallaro sono inoltre presenti, all’epoca del disgelo, numerosi esemplari di Farfaro (Tussilago farfara L.) e Scilla bifoglia (Scilla bifolia L.). Nella distesa di Pian Cavallaro, a seconda delle stagioni, sono osservabili numerose fioriture; ricordiamo la presenza della Genziana di Koch (Gentiana acaulis L.), Genzianella (Gentiana verna L.), Trifoglio alpino (Trifolium alpinum L.), Orchidea sambucina (Dactylorhiza sambucina (L.) Soò), Giglio martagone (Lilium martagon L.) e Semprevivo montano (Sempervivum montanum L.), quest'ultimo negli strati d'arenaria che delimitano l'altopiano verso nord. A cavallo fra i mesi di giugno e luglio è presente nel piano una piccola stazione di una pianta molto rara che raggiunge in Emilia il margine settentrionale del suo areale; si tratta del Lino capitato (Linum capitatum Kit.). Poco più a valle del piano è inoltre frequente l'Orchide macchiata (Dactylorhiza maculata (L.) Soò).

Nel settore superiore della salita che da Pian Cavallaro conduce alla sommità del Cimone si può osservare una pianta molto comune sulle Alpi ma assai rara nell’Appennino Tosco Emiliano: si tratta della Soldanella della silice (Soldanella pusilla Baumg.). Si tratta di una specie presente in Emilia solamente in due piccoli areali, oltre al Cimone è infatti presente presso la cima del Prado (provincia di Reggio Emilia). Da segnalare inoltre l'Aquilegia alpina (Aquilegia alpina L.) presso il Cimoncino.

Tra le altre rarità osservabili ricordiamo la Genziana nivale (Gentiana nivalis L.), presente con una sola stazione a quota 2130 metri, pochi metri sotto la vetta del Cimone: anche in questo caso si tratta di una pianta comune sulle Alpi ma estremamente rara nell’Appennino Settentrionale dove può essere osservata solo nella fascia di crinale del bolognese e del modenese. A renderne difficile il ritrovamento vi è, oltre al suo areale così ridotto, la dimensione minuscola del fiore e il periodo vegetativo nel complesso piuttosto ridotto. Non possiamo poi non rammentare la presenza del bellissimo Geranio argentino (Geranium argenteum L.) sulle rocce del crinale; si tratta in questo caso di un relitto preglaciale del terziario endemico delle Alpi Orientali e dell’Appennino Tosco Emiliano con pochi altri nuclei nelle Alpi Occidentali e un solo areale nelle Alpi Apuane.  Prolungando di poco l’itinerario appena descritto l’amante della flora potrà scoprire altre due piante rare per l’Appennino Settentrionale. Proseguendo oltre il Monte Lagoni sino al Libro Aperto, in giugno sono osservabili diversi cespugli del bellissimo Rododendro ferrugineo (Rhododendron ferrugineum L.) dagli inconfondibili fiori rossi. Le poche stazioni presenti sul crinale tosco emiliano rappresentano un relitto glaciale nonchè, se si eccettua una piccola stazione scoperta di recente sulle Alpi Apuane, il limite meridionale dell’areale italiano per questa specie. Una deviazione al Pizzo delle Stecche permette infine la scoperta di una pianta molto particolare ed estremamente rara, questa volta non solo in Emilia ma, in generale, sull’intero arco alpino: si tratta della Genzianella stellata (Swertia perennis L.), pianta appartenente alla famiglia delle Gentianaceae dai fiori violetti. E’ una pianta che colonizza suoli torbosi e in Italia è a tratti abbondante solamente nelle Alpi piemontesi; per il resto è piuttosto rara interessando gli altri settori alpini ed è rarissima nell’Appennino Settentrionale con pochissime stazioni nel reggiano e nel modenese. L’areale presente al Pizzo delle Stecche è l’ultimo noto in Appennino spostandosi verso oriente.

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