Sas de Mesdì

SAS DE MESDI’ (m 2980)

Mentre le persone si affollano nella salita al Piz Boè o nel tratto Rifugio Maria – Rifugio Boè, non è difficile trovare la solitudine procedendo verso altre direzioni. Il Sas de Mesdì è una delle tante cime nell’ambito dell’altopiano sommitale del Sella ad essere immersa in un incredibile anonimato sebbene sia raggiungibile senza alcuna difficoltà tecnica. Concede un’impressionante veduta del Vallone di Mesdì oltre ad una splendida vista su un vasto tratto delle Alpi Orientali. Ne proponiamo la più comoda via di salita usufruendo della funivia.

Dati tecnici:

Dal Rifugio Maria (m 2950), sulla sommità del Sass Pordoi: Difficoltà: EE (EEA decidendo di utilizzare il Koburger Weg, tratto comunque evitabile risalendo l’Antersass) (Vai alla scala delle difficoltà). Segnaletica: totale sino al punto più elevato del sentiero 666. Il breve tratto seguente segue un ampio crinale con qualche ometto di pietra ma senza difficoltà d’orientamento in condizioni di buona visibilità. Dislivello: il valore assoluto di m 151 non è significativo in quanto l’escursione è caratterizzata da numerosi, deboli saliscendi nell’ambito del grande altipiano sommitale del Sella. Acqua sul percorso: assente ma con numerosi rifugi: Rif Maria, Rif. Forcella Pordoi, Rif. Boè.

Accesso:

La partenza è in coincidenza del Passo Pordoi, raggiungibile dalla Val Fassa superando il paese di Canazei e risalendo fino al valico. Un'altra possibilità è risalire da Arabba in una decina di chilometri sempre su comoda strada statale.

Descrizione del percorso:

Dal Passo Pordoi, la funivia ci conduce in pochi minuti sulla cima del Sass Pordoi (Rifugio Maria - m 2950), dove si apre davanti a noi il vasto e brullo altopiano sommitale del Sella. Scendiamo brevemente, su terreno roccioso, allo stretto intaglio della Forcella Pordoi, ove sorge l’omonimo rifugio (m 2829 – ore 0,15 dalla partenza). Si prosegue per un breve tratto in piano: ignorato il bivio a destra che conduce sulla sommità del Piz Boè si raggiunge una facile fascia di roccette ove è posta una fune metallica utile in caso di pioggia (esposizione comunque scarsa). In debole saliscendi si contorna l’ampia piramide del Piz Boè sino a guadagnare la conca ove è posto l’omonimo rifugio (m 2871 – ore 1 dalla partenza). Dal Rifugio Boè si sale direttamente (segnavia n° 666), sempre su terreno roccioso, sulla tozza elevazione dell’Antersass (Zwischenkofel – m 2907 – ore 1,15 dalla partenza) per poi discenderlo tra i detriti del versante opposto sino a guadagnare l’ampia Forcella Antersass (m 2830).

N.B E’ possibile aggirare la cima Antersass seguendo poco oltre il Rifugio Boè il sentiero denominato Koburger Weg - cartello “sentiero difficile”) che traversa a sinistra della sommità su cengia assai esposta ma attrezzata con funi metalliche fisse fino a ricongiungersi al segnavia 666 in coincidenza della forcella Antersass. Da notare, a destra della sella, l’impressionante baratro che si apre sulla sottostante Val Mezdì in una zona caratterizzata da alcuni curiosi pinnacoli rocciosi. Si procede per un breve tratto in moderata salita sino al bivio segnalato da cartelli: ignoriamo il segnavia 649 che conduce a sinistra in direzione della Ferrata Meisules e del Piz Miara per mantenere il sentiero 666 e risalire tra rocce e detriti sino al punto più elevato. Nel punto in cui il tracciato segnato comincerebbe a scendere in modo deciso nella Val di Tita, abbandoniamo il segnavia per volgere a destra su libero terreno. Senza perdere quota e senza alcuna difficoltà, si traversa praticamente in piano sino a guadagnare un’anticima caratterizzata da un ometto di pietre. Ancora un brevissimo tratto, sempre in falsopiano e siamo sulla cima vera e propria (Sas de Mesdì – m 2980 – ometto di pietre - ore 2 dalla partenza) dove si apre improvviso il profondissimo burrone ricadente sulla Val Mesdì. Nelle giornate terse è vastissimo il panorama; verso nord si osservano le Alpi Aurine, il Gruppo del Venediger con le cime del GroßVenediger e del GroßGlockner. Risultano visibili tutti i gruppi principali delle Dolomiti Orientali come le Tofane, il Civetta e il Pelmo. Nell’ambito del Sella si osserva come sempre la vicina sommità del Piz Boè oltre alla Cima Pisciadù, al Piz da Lech, al Sasso delle Nove, al Sasso delle Dieci, al Bec de Mesdì e verso ovest su gran parte dell’altopiano delle Meisules. Il rientro avviene a ritroso.

Cenni sulla flora:

Chi, per la prima volta, si avventura sull’altipiano sommitale del Sella, resta senza parole di fronte all’aspetto quasi lunare dell’area. Nemmeno dai passi sottostanti (Pordoi, Sella e Gardena) si può immaginare quanto ampia e selvaggia sia questa immane distesa di pietra. Chi sale all’altipiano con la funivia del Pordoi una volta raggiunta la stazione a monte (Sas Pordoi) rimane sorpreso passando dalle sottostanti verdi vallate al soprastante deserto di rocce.

Per capire il perché di un ambiente così singolare è bene non scordare che siamo a quasi 3000 metri di quota. L’arrivo della funivia è posizionato a 2950 metri ma la piramide del Piz Boè, punto culminante dell’altipiano, raggiunge addirittura i 3152 metri. Le Dolomiti presentano altri settori ad altipiano (Puez, Pale di S.Martino…) ma il Sella tocca le quote più elevate con condizioni climatiche del tutto paragonabili a quelle artiche. A queste altitudini l’estate è estremamente breve mentre l’innevamento può persistere sino a luglio inoltrato con singoli nevai che possono mantenersi anche in agosto e settembre quando ormai la nuova, lunga stagione invernale è ormai alle porte. Condizioni così estreme spiegano la quasi totale assenza di vegetazione; eppure, anche in un mondo di pietra così arido, è incredibile trovare alcune piante che nella brevissima estate alpina riescono a fiorire. Non si tratta di piante appariscenti: l’aspetto strisciante o la conformazione a pulvino è prevalente in quanto permette di resistere sia al forte vento che al carico della neve. Facendo attenzione, riuscirete a scorgerne diverse, spesso celate tra le pietre o al riparo dei massi, di solito in fioritura ritardata (mese di agosto). Una veloce ricerca nel breve tratto compreso tra il Sas Pordoi (Rifugio Maria) e la Forcella Pordoi permette già di osservarne alcune addirittura straordinarie per rarità. Le due più rilevanti sono senz’altro la Sassifraga di Facchini (Saxifraga facchinii) e la Draba delle Dolomiti (Draba dolomitica). In entrambi i casi si tratta di “specie relitte di nunatak”. “Nunatak” è un vocabolo di origine vichinga con cui si indicano in Groenlandia e nei mari artici le poche isole di roccia che emergono dalla banchisa o dai ghiacciai. Si tratta in effetti delle uniche porzioni di crosta terrestre a non essere sommerse dall’immenso spessore della calotta glaciale. Nelle epoche passate, quando le glaciazioni interessarono le Alpi e le Dolomiti, tutte le valli furono sommerse dal ghiaccio per centinaia di metri e solo le cime più alte emergevano dalla calotta. In quell’epoca gran parte delle specie vegetali furono cancellate, incapaci di sfuggire alla morsa del ghiaccio. Solo pochissime specie riuscirono a salvarsi in loco rifugiandosi  su quelle piccole isole rocciose che emergevano dalla calotta ghiacciata. E’ il caso di Saxifraga facchinii, Draba dolomitica e di poche altre specie identificate quindi con il vocabolo di “nunatakker”. Quando i ghiacciai si ritirarono i nunatakker si trovarono isolati sulle cime più alte delle montagne, incapaci di incrociarsi con altre specie dello stesso genere. Si tratta quindi di piante “relitte” di un epoca trascorsa quasi sempre rare ed endemiche. Saxifraga facchinii è infatti un endemismo stretto delle Dolomiti; Draba dolomitica ha un areale un po’ più ampio ma comunque sempre limitato a poche aree sommitali.

Occorre osservare che tutti i nunatakker hanno, come quota inferiore del loro habitat, il limite superiore raggiunto dalla calotta durante le glaciazioni. Questo spiega perché Draba dolomitica e Saxifraga facchinii non scendono quasi mai al di sotto di un margine molto netto posto nelle Dolomiti più interne a circa 2500 metri. Al di sopra di questa altitudine raggiungono le vette comportandosi così in modo del tutto diverso rispetto alle specie non relitte. Queste ultime con la quota vanno rarefacendosi con limiti massimi di quota piuttosto “sfumati” e variabili a seconda del gruppo montuoso e dell’esposizione.Un’altra osservazione interessante risiede nella quasi totale assenza di Draba dolomitica e Saxifraga facchinii nelle Dolomiti Orientali: questo lascia pensare che la calotta glaciale ricoprisse addirittura le vette di questo settore mentre nelle Dolomiti Occidentali spuntavano dal ghiaccio pochi gruppi montuosi tra cui il Sella dove le piante poterono rifugiarsi sfuggendo alla morsa del gelo. Quando, camminando sull’altipiano del Sella, incontrerete i pulvini delle piante suddette ricordatevi che state osservando un miracolo della natura sopravvissuto alle intemperie di un ambiente selvaggio ed ostile. Draba dolomitica può essere confusa con Draba hoppeana, anch’essa presente sull’altipiano ma distinguibile per i fiori giallo zolfini. Draba dolomitica presenta invece fiori giallo pallido o bianco – giallastri e certi anni alcuni pulvini, al pari di Saxifraga facchinii, possono non riuscire neppure a fiorire se le condizioni climatiche non lo permettono.

Una veloce carrellata delle altre piante osservabili sull’altipiano comprende senza dubbio altri endemismi quali la Peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum) dai bei fiori bianchi e Iberidella grassa (Thlaspi rotundifolia), pianta caratterizzata da splendidi petali violetti in grado, con le sue radici, di vivere in mezzo ai ghiaioni detritici mobili. Entrambe sono endemiche dell’arco alpino. Presso la Forcella Pordoi non faticherete a scorgere diversi cuscinetti di Potentilla lucida (Potentilla nitida) trapuntati di appariscenti fiori bianco rosati. Particolarmente rappresentato è il genere Saxifraga che, oltre alla Sassifraga di Facchini comprende anche, sull’altipiano del Sella, Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), Sassifraga setolosa (Saxifraga sedoides) e Sassifraga muschiata (Saxifraga moschata). Un occhio attento noterà i piccoli fiorellini bianchi dell’Iberidella alpina (Hornungia alpina), dell’Arabetta alpina (Arabis alpina) e i densi cuscinetti dell’Arenaria moehringioide (Arenaria gothica fr.moehringioides). Assai appariscenti sono inoltre le infiorescenze della bella Margherita alpina (Leucanthemopsis alpina) e del Papavero alpino retico (Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum).

Queste sono solo le entità più facili da osservare, ma speriamo che questa carrellata vi abbia convinto che l’altipiano del Sella non è poi così desertico come potrebbe apparire ad un’osservazione superficiale. Buona ricerca a tutti voi mostrando il massimo rispetto alla meravigliosa flora d’altitudine che anno dopo anno fiorisce sulle vette del Sella.

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