Piz Lech Dlace

PIZ BOE’ (m 3152)

PIZ LECH DLACE (PIZZO del LAGO GELATO – m 3009)

Il Piz Lech Dlace è un’elevazione nel complesso poco nota nell’ambito dell’altipiano sommitale del Sella nonostante si tratti comunque di un “3000” di assoluto rispetto. Gli escursionisti si affollano fin troppo numerosi lungo il tratto di sentiero che dal Sas Pordoi sale al Piz Boè mentre pochi prendono in considerazione il proseguo in discesa per guadagnare anche il Piz Lech Dlace. Chi lo farà andrà ad osservare uno dei gioielli più nascosti del massiccio del Sella: le acque del piccolo Lech Dlace che trae nome dal ghiaccio e dalla neve che lo ricoprono anche nella stagione estiva. Il percorso non è difficile ma richiede in ogni caso attenzione e piede fermo per la presenza di alcune brevi frazioni attrezzate. Complice la quota è un’escursione da svolgersi nel pieno dell’estate tenendo conto che ad inizio stagione (giugno e luglio) possono essere presenti nevai residui. Da notare che il Piz Lech Dlace è di solito raggiunto e attraversato da chi percorre il sentiero attrezzato Lichtenfels che sale al Piz Boè dal Rifugio Vallon affrontando alcune frazioni ferrate. Quella che andiamo a descrivervi è invece la via di minore difficoltà per guadagnarne la cima potendo per altro ridurre considerevolmente il dislivello in salita sfruttando la funivia che conduce al Sas Pordoi.

L’escursione in breve:

Rifugio Maria (Sas Pordoi - m 2950) - Rif. Forcella Pordoi (m 2829) – Piz Boè (m 3152) – Forces dai Ciamorces (m 3110) – Cresta Strenta - Forcella del Lago Gelato (m 2976) – Piz Lech Dlace (Pizzo del Lago Gelato – m 3009)

Dati tecnici:

Partenza dalla stazione a monte della funivia del Sas Pordoi (Rifugio Maria - m 2950): Difficoltà: EEA (Vai alla scala delle difficoltà). T sino alla Forcella Pordoi; EEA nel tratto successivo. Segnaletica: totale. Dislivello assoluto: m 323. Acqua sul percorso: assente ma con tre punti d’appoggio aperti nella stagione estiva: Rifugio Maria, Rifugio Forcella Pordoi e Rifugio Capanna Fassa in vetta al PizBoè.

Accesso alla partenza:

L’escursione ha inizio in coincidenza del Passo Pordoi, raggiungibile dalla Val Fassa superando il paese di Canazei e risalendo sino al valico. Un'altra possibilità è risalire da Arabba in una decina di chilometri sempre su comoda strada statale. Raggiunto il passo abbandoniamo l’auto e usufruiamo della funivia del Sas Pordoi salendo in pochi minuti sino al Rifugio Maria (m 2950).

Descrizione del percorso:

Il panorama che si gode dalla partenza appare di grandiosa vastità grazie al fatto che si distende davanti a noi l’immenso, brullo altopiano sommitale del Sella. Spicca naturalmente la larga piramide rocciosa del Piz Boè, punto più elevato del massiccio, mentre più a destra ammiriamo due rilievi secondari posti al margine meridionale dell’altipiano; si tratta della Punta de Joel e del Sass da Forcia Ovest.

Il nostro percorso ha inizio muovendo in debole discesa verso oriente e, nei mesi di luglio e agosto, ci troveremo nel mezzo della scomposta schiera di turisti che muove verso il Piz Boè o che torna alla stazione a monte della funivia. Pochi minuti e raggiungiamo il salto che sovrasta la sottostante Forcella Pordoi. Il sentiero cala senza difficoltà lungo la china detritica. Di fronte a noi abbiamo il Sass da Forcia Ovest posto sulla verticale della Forcella Pordoi. Volgendo con lo sguardo ancora più a oriente notiamo la modesta piramide rocciosa della Punta de Joel parzialmente coperta dal Sass da Forcia Est. Ancora più a sinistra il Piz Boè, con l’antiestetico rifugio posto sulla sua vetta, domina tutte le altre elevazioni. In questo “deserto” di pietra si resta stupiti scovando tra le rocce piante striscianti e incredibili fioriture d’alta quota alle quali faremo riferimento in coda alla descrizione. Tornando al nostro itinerario raggiungiamo la stretta e marcata Forcella Pordoi (m 2848 – ore 0,15 dalla partenza) dalla quale osserviamo l’impressionante canalone ghiaioso che cala verso i sottostanti prati del Passo Pordoi. Quasi opprimenti appaiono le rupi verticali del Sass da Forcia Ovest che sovrastano la stretta selletta. E’ presente un bel rifugio sempre aperto nella bella stagione, molto utile per un eventuale approvvigionamento d’acqua.

Il nostro itinerario prosegue praticamente in piano mantenendo il segnavia 627 che traversa a mezza costa lasciando alla destra il trio di cime che caratterizzano il Sass da Forcia. In breve siamo ad un’importante biforcazione: a sinistra si proseguirebbe, sempre in falsopiano, verso il Rifugio Boè mentre nel nostro caso volgiamo a destra seguendo la traccia in direzione del Piz Boè. Si tratta come detto di una frazione in salita inizialmente poco impegnativa in quanto non troppo ripida e su tracciato tra i detriti sempre ben evidente. Da rilevare i magnifici scorci, sulla destra, in direzione della Marmolada con il suo ghiacciaio. Nel proseguo accostiamo e cominciamo a rimontare la piramide sommitale del Piz Boè con pendenza che diviene sostenuta. Alcuni salti rocciosi esposti sono ben attrezzati con funi metalliche. Il fiume di persone che assaltano questo tratto in luglio e in agosto potrebbe portare a sottovalutare la frazione. Certo la difficoltà non è eccessiva ma è comunque necessario avere piede fermo affrontando le roccette con fondo asciutto e buona visibilità. Le frazioni attrezzate sono brevissime e lasciano spazio ad un innocuo sentiero che guadagna infine la sommità del Piz Boè (m 3152 – ore 1,15 dalla partenza), punto culminante del Gruppo Sella e dell’escursione. Presso la vetta è presente il Rifugio Capanna Fassa, aperto nella stagione estiva. La presenza del rifugio è purtroppo deturpante, in compenso il panorama è di immensa vastità permettendo di osservare gran parte dell’altopiano sommitale del Sella e numerosi gruppi dolomitici fra i quali ricordiamo, verso oriente, il Monte Cavallo, il Piz de Lavarela, le Tofane, Sorapiss, Antelao e il Monte Pelmo. Verso meridione notiamo la Marmolada mentre ad occidente si osservano il Catinaccio e il Sassolungo.

L’escursione può ora proseguire calando sul sentiero che sfrutta la cresta nord del Piz Boè. Si perde quota su fondo detritico con scorci panoramici in direzione della Val Badia e delle montagne che ne fanno da quinte. Raggiungiamo in pochi minuti la marcata selletta denominata Forces dai Ciamorces (m 3110 – cartello segnalatore). In coincidenza della forcella si abbandona il sentiero 638 che procederebbe verso il Rifugio Boè per passare a destra sul segnavia 672 che percorre l’aerea Cresta Strenta. Il primo tratto di sentiero è stato in parte rovinato dalle intemperie risultando instabile e poco evidente. Per evitare questo breve tratto impegnativo è possibile un’alternativa più comoda. In coincidenza della forcella si mantiene il sentiero 638 per poche decine di metri sino ad individuare sulla destra una traccia tra sassi e detriti (ometti di pietra) che evita la frazione più difficoltosa sino a riprendere la Cresta Strenta dopo una breve risalita. L’ambiente, vasto ed impervio, regala nuovi, magnifici scorci, sull’altipiano del Sella mentre verso meridione notiamo Pelmo e Civetta. Nuovamente sul crinale affrontiamo un passaggio un po’ esposto su entrambi i versanti. Ci muoviamo con cautela e piede fermo osservando, sotto la nostra verticale, il Rifugio Boè nonché il profondo solco della Val Mezdì. E’ interessante osservare il Piz Boè alle nostre spalle preso d’assalto dai turisti mentre nel nostro caso camminiamo, con tutta probabilità, in compagnia di pochi escursionisti a dimostrazione del fatto che anche il Sella presenta luoghi selvaggi ed appartati. Andiamo ora ad aggirare un tratto di crinale particolarmente impervio debordando, in ripida discesa, alla sua destra. Funi metalliche fisse guidano attraverso costole rocciose e una cengia piuttosto esposta ma ben attrezzata in coincidenza della quale ci affacciamo sulla conca che accoglie il Lago Gelato (Lech Dlace). Aggiriamo con l’ausilio dell’ultimo tratto di fune un pulpito quindi, subito oltre, rimontiamo un esile risalto roccioso. Procediamo, senza ulteriori difficoltà, sul grande pendio detritico che scende molto ripidamente lungo la china pietrosa con grande vista a sinistra sull’altipiano del Sella. Non vi è più esposizione, solo un fondo su ghiaie instabili comunque abbordabile che raggiunge infine la modesta depressione della Forcella del Lago Gelato (m 2976). Dalla selletta si ripete lo scorcio sul sottostante Lago Gelato mentre la vetta del Piz Lech Dlace è ben evidente e a portata di mano. Il segnavia risale in qualche minuto sino al punto più alto ricalcando il crinale ora roccioso e comunque privo di difficoltà (m 3009 – ore 0,40 dal Piz Boè – circa ore 2 dalla partenza).

Dalla vetta godiamo un eccellente panorama con in bella vista il Lech Dlace (Lago Gelato) che giace a 2833 metri e nel quale non è difficile osservare, anche in estate, grossi blocchi di ghiaccio che galleggiano sulla sua superficie. Magnifica appare la vista del Ghiacciaio della Marmolada nonché sulle lontane cime del bellunese mentre alle spalle osserviamo il percorso appena seguito con in evidenza la piramide del Piz Boè. Si ripete la vista dell’altipiano sommitale del Sella e del Gruppo del Sassolungo. Il rientro avviene a ritroso per un totale inferiore alle 4 ore di cammino.

Cenni sulla flora:

Chi, per la prima volta, si avventura sull’altipiano sommitale del Sella, resta senza parole di fronte all’aspetto quasi lunare dell’area. Nemmeno dai passi sottostanti (Pordoi, Sella e Gardena) si può immaginare quanto ampia e selvaggia sia questa immane distesa di pietra. Chi sale all’altipiano con la funivia del Pordoi una volta raggiunta la stazione a monte (Sas Pordoi) rimane sorpreso passando dalle sottostanti verdi vallate al soprastante deserto di rocce.

Per capire il perché di un ambiente così singolare è bene non scordare che siamo a quasi 3000 metri di quota. L’arrivo della funivia è posizionato a 2950 metri ma la piramide del Piz Boè, punto culminante dell’altipiano, raggiunge addirittura i 3152 metri. Le Dolomiti presentano altri settori ad altipiano (Puez, Pale di S.Martino…) ma il Sella tocca le quote più elevate con condizioni climatiche del tutto paragonabili a quelle artiche. A queste altitudini l’estate è estremamente breve mentre l’innevamento può persistere sino a luglio inoltrato con singoli nevai che possono mantenersi anche in agosto e in settembre quando ormai la nuova, lunga stagione invernale è ormai alle porte. Condizioni così estreme spiegano la quasi totale assenza di vegetazione; eppure, anche in un mondo di pietra così arido, è incredibile trovare alcune piante che nella brevissima estate alpina riescono a fiorire. Non si tratta di piante appariscenti: l’aspetto strisciante o la conformazione a pulvino è prevalente in quanto permette di resistere sia al forte vento che al carico della neve. Facendo attenzione, riuscirete a scorgerne diverse, spesso celate tra le pietre o al riparo dei massi, di solito in fioritura ritardata (mese di agosto). Una veloce ricerca nel breve tratto compreso tra il Sas Pordoi (Rifugio Maria) e la Forcella Pordoi permette già di osservarne alcune addirittura straordinarie per rarità. Le due più rilevanti sono senz’altro la Sassifraga di Facchini (Saxifraga facchinii) e la Draba dolomitica (Draba dolomitica). In entrambi i casi si tratta di “specie relitte di nunatak”. “Nunatak” è un vocabolo di origine vichinga con cui si indicano in Groenlandia e nei mari artici le poche isole di roccia che emergono dalla banchisa o dai ghiacciai. Si tratta in effetti delle uniche porzioni di crosta terrestre a non essere sommerse dall’immenso spessore della calotta glaciale. Nelle epoche passate, quando le glaciazioni interessarono le Alpi e le Dolomiti, tutte le valli furono sommerse dal ghiaccio per centinaia di metri e solo le cime più alte emergevano dalla calotta. In quell’epoca gran parte delle specie vegetali furono cancellate, incapaci di sfuggire alla morsa del ghiaccio. Solo pochissime specie riuscirono a salvarsi in loco rifugiandosi su quelle piccole isole rocciose che emergevano dalla calotta ghiacciata. E’ il caso di Saxifraga facchinii, Draba dolomitica e di poche altre specie identificate quindi con il vocabolo di “nunatakker”. Quando i ghiacciai si ritirarono i nunatakker si trovarono isolati sulle cime più alte delle montagne, incapaci di incrociarsi con altre specie dello stesso genere. Si tratta quindi di piante “relitte” di un epoca trascorsa quasi sempre molto rare ed endemiche. Saxifraga facchinii è infatti un endemismo stretto delle Dolomiti; Draba dolomitica ha un areale un po’ più ampio ma comunque sempre limitato a poche aree sommitali. 

Occorre osservare che tutti i nunatakker hanno, come quota inferiore del loro habitat, il limite superiore raggiunto dalla calotta durante le glaciazioni. Questo spiega perché Draba dolomitica e Saxifraga facchinii non scendono quasi mai al di sotto di un margine molto netto posto nelle Dolomiti più interne a circa 2500 metri. Al di sopra di questa altitudine raggiungono le vette comportandosi così in modo del tutto diverso rispetto alle specie non relitte. Queste ultime con la quota vanno rarefacendosi con limiti massimi di quota piuttosto “sfumati” e variabili a seconda del gruppo montuoso e dell’esposizione. Un’altra osservazione interessante risiede nella quasi totale assenza di Draba dolomitica e Saxifraga facchinii nelle Dolomiti Orientali: questo lascia pensare che la calotta glaciale ricoprisse addirittura le vette di questo settore mentre nelle Dolomiti Occidentali spuntavano dal ghiaccio pochi gruppi montuosi tra cui il Sella dove le piante poterono rifugiarsi sfuggendo alla morsa del gelo. Quando, camminando sull’altipiano del Sella, incontrerete i pulvini delle piante suddette ricordatevi che state osservando un miracolo della natura sopravvissuto alle intemperie di un ambiente selvaggio ed ostile. Draba dolomitica può essere confusa con Draba hoppeana, anch’essa presente sull’altipiano ma distinguibile per i fiori giallo zolfini. Draba dolomitica presenta invece fiori giallo pallido o bianco – giallastri e certi anni alcuni pulvini, al pari di Saxifraga facchinii, possono non riuscire neppure a fiorire se le condizioni climatiche non lo permettono.

Una veloce carrellata delle altre piante osservabili sull’altipiano e sulle pendici del Piz Boè comprende senza dubbio altri endemismi quali la Peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum) dai bei fiori bianchi e Iberidella grassa (Thlaspi rotundifolia), pianta caratterizzata da splendidi petali violetti in grado, con le sue radici, di vivere in mezzo ai ghiaioni detritici mobili. Entrambe sono endemiche dell’arco alpino. Presso la Forcella Pordoi non faticherete a scorgere diversi cuscinetti di Potentilla lucida (Potentilla nitida) trapuntati di appariscenti fiori bianco rosati. Particolarmente rappresentato è il genere Saxifraga che, oltre alla Sassifraga di Facchini comprende anche, sull’altipiano del Sella, Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), Sassifraga setolosa (Saxifraga sedoides) e Sassifraga muschiata (Saxifraga moschata). Un occhio attento noterà i piccoli fiorellini bianchi dell’Iberidella alpina (Pritzelago alpina), dell’Arabetta alpina (Arabis alpina) e i densi cuscinetti dell’Arenaria moehringioide (Arenaria gothica fr. moehringioides). Assai appariscenti sono inoltre le infiorescenze della bella Margherita alpina (Leucanthemopsis alpina) e del Papavero alpino retico (Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum). Concludiamo la nostra breve rassegna di piante con un ultimo endemismo delle Alpi Centro Orientali: si tratta del Millefoglio dei macereti (Achillea barrelieri subsp.oxyloba), la pianta con il fiore più grande tra quelle del genere Achillea.

Queste sono solo le entità più facili da osservare, ma speriamo che questa carrellata vi abbia convinto che il Sella,con le sue cime e il suo altipiano, non è poi così desertico come potrebbe apparire ad un’osservazione superficiale. Buona ricerca a tutti voi mostrando il massimo rispetto nei confronti della meravigliosa flora d’altitudine che anno dopo anno fiorisce sulle vette del Sella

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